Dialogo fra un nonno (No) bersagliere e il suo nipotino (Ni)

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(Ni) Nonno, nonno a scuola mi è successa una cosa strana, spiegami cosa significa.

(No) Di cosa parli amore?

(Ni) Oggi a scuola la maestra mi ha sorriso e accarezzandomi la testa ha detto “Sembri la piccola vedetta Lombarda”; io ho sorriso ma non so di cosa stesse parlando.

(No) Ti ha fatto un complimento Nicolino; la piccola vedetta lombarda era un giovane eroe che il grande scrittore Edmondo De Amicis immortalò in un racconto presentato sul libro Cuore, un libro ormai dimenticato che nessuno legge più.

(Ni) Raccontami sono curioso.

(No) Prima, come al solito per onorare il mio passato di professore, ti traccerò lo schema logico, poi ti parlerò di questo giovane biondino dagli occhi azzurri che tanto ti assomiglia, ma ricordati, è una storia vera che il grande scrittore De Amicis romanzò.

Situazione iniziale: Guerra per la liberazione della Lombardia, seconda guerra di indipendenza italiana, esordio della battaglia di Montebello, franco – piemontesi contro austriaci;

Esordio: Un ragazzo incontra due soldati italiani, cavalleggeri dell’esercito sardo in avanscoperta;

Peripezie: L’ufficiale in comando, chiede al ragazzo di salire sull’albero, un pioppo, per far da vedetta e individuare eventualmente la presenza di truppe nemiche;

Momento di tensione: I soldati nemici, austriaci, si accorgono del ragazzo e lo colpiscono con una pallottola;

Conclusione: Il ragazzo muore e gli viene riconosciuta una medaglia per il suo coraggio.

E adesso ti parlerò del ragazzo.

Si chiamava Giovanni Minoli, all’epoca dei fatti, 1859, aveva 12 anni, era di Corana e lavorava come contadino in una fattoria di Voghera.

Quando l’ufficiale lo interpellò, aderì prontamente alla richiesta, salì sul pioppo e riferì della presenza delle truppe nemiche poco lontane, ma anche gli austriaci notarono il ragazzo e cominciarono a sparare e pur richiamato dall’ufficiale, il giovane non volle scendere fino a che una pallottola nemica non lo centrò al petto.

Cadde a terra e non spirò subito, come invece narra De Amicis, passarono sei mesi di sofferenze in ospedale sempre contornato dai soldati franco – piemontesi, fino a che alla fine spirò e gli venne riconosciuta una medaglia per il coraggio mostrato.

La maestra ha visto in te il piccolo eroe e ti ha onorato, Nicolino.

È un peccato che i nostri ragazzi non conoscano più il nostro passato; parlare di questi fatti mi fa sentire ricco dentro, riconosco tutta la tensione che Giovanni deve aver provato, l’emozione di trovarsi davanti ad un cavalleggero che combatteva per liberare il suo paese dall’invasore, la gioia di sentirsi utile, l’adrenalina dell’avventura; penso al turbinio che doveva avere dentro e in parte l’invidio.

Quando lessi per la prima volta il racconto di questo ragazzo ti confesso che piansi; all’epoca non sapevo che fosse un fatto vero, ma lo vissi come se fosse realmente accaduto e piansi di dolore per la morte del ragazzo

Non è da tutti morire per la propria Patria, il grande Orazio nelle sue Odi indica “Dulce et decorum est pro-patria mori “che tradotta letteralmente, significa: è dolce e dignitoso morire per la Patria.

Con questo celebre verso, il poeta latino Orazio voleva stimolare la gioventù dei Romani ad imitare le virtù e l’eroismo guerriero dei loro antenati.

Lo invidiai perché sentivo che era un grande eroe che aveva fatto una cosa incredibile e sono felice che la maestra ti abbia paragonato a lui, sei il mio eroe Nicolino.

Ma che fai piangi?

(Ni) Sì nonno piango per Giovanni, piango per te , piango per me e per i miei compagni che non potranno mai condividere la gioia che io ho provato ascoltandoti.

                                                                             Bers. Giuseppe Lucarini, nonno

Mio padre, ” Il Bersagliere “

PREFAZIONE

Era una giornata di guerra come tante a Pomezia nel lontano 1941. Nel loro tragitto si fermarono a rifocillarsi 3 Compagnie di bersaglieri in cammino per il fronte; in quell’occasione l’allora Sindaco Dott. Aurelio Leone assistito dal Segretario, deliberò all’impronta la somma di 270 lire per offrire del vermouth ai militari in sosta presso il nostro territorio; la delibera venne protocollata con numero 19750 e fu intestata al padrone della trattoria di allora sig. Giorgiantoni Vittorio, in prossimità di Piazza dell’Impero, oggi Piazza Indipendenza.

La guerra finì e per molti anni nessuno più vide dei bersaglieri nel territorio: fino a che agli inizi degli anni 70 due uomini, due nostri padri, il bersagliere Cav. al Merito della Repubblica DIONISI PAOLO, e il Cav. TOMARCHIO GIOVANNI, avendo nell’animo, nel cuore, lo spirito innato dei bersaglieri, fondarono con enormi sacrifici la I° Sezione Bersaglieri di Pomezia, Dionisi veniva esclusivamente chiamato da tutti “Il Bersagliere”, il secondo Tomarchio era conosciuto da tutti i Pometini come il “Cavaliere”. Solo la passione di costoro riuscì a tanto. Costituirono, addirittura una fanfara di bersaglieri tutta Pometina, a proprie spese e tutto ciò che gravava in organizzazione. Ma, per ovvi motivi, tutto ciò durò solo qualche anno, furono anni che però lasciarono segni e ricordi indelebili in tutta la cittadinanza, quei due bersaglieri erano riusciti con pochi mezzi ma con tanto amore a toccare profondamente il cuore di tutti.

A continuare la loro corsa, a portare avanti i loro progetti, furono i figli, Emilio e Salvatore, nei nostri incontri sempre più frequenti, si parlava quasi esclusivamente dei nostri padri, di quella sezione di bersaglieri, di quelle divise rimaste troppo tempo appese, dell’indimenticabile suono della loro fanfara. Pian piano l’amore e la volontà di continuare la corsa iniziata si concretizzò, e con l’aiuto e il sostegno di altri bersaglieri raccogliemmo il testimone di quegli uomini, la loro passione i loro ideali. Finalmente i bersaglieri con le loro piume, i loro ottoni, con l’allegria delle loro fanfare tornarono a Pomezia, diffondendo di nuovo lo spirito indomito e quei valori di fermezza e lealtà che il “Bersagliere” ha sempre rappresentato nell’idea collettiva. Solo chi è bersagliere, perché lo si rimane per sempre, sa cosa significa sfilare correndo tra ali di folla adorante e sa che quelle piume rappresentano qualcosa di più di una coda di gallo cedrone. Semplicemente e senza fronzoli di sorta e senza incorrere nella facile retorica un simbolo unico della nostra storia che infonde ai più simpatia e apprezzamento senza riserve.

Dopo anni di silenzio, di torpore, la nostra gente, le nostre strade, poterono finalmente rivedere e ascoltare gli inni e le epiche melodie che guidarono le eroiche gesta dei nostri padri fondatori; con Salvatore ormai bastava uno sguardo, un sorriso per esternare soddisfazione e orgoglio, i nostri padri potevano essere orgogliosi dei loro figli.

“Mio padre “Il Bersagliere”

Sono trascorsi molti anni da allora, e sempre più spesso, specialmente quando indosso il suo cappello piumato, (il mio lo scambiai con il suo, in quella triste ultima sua corsa) mi ritrovo a correre con i miei nipotini nei nostri meravigliosi Raduni Nazionali. La mente mi riporta a vecchi indelebili ricordi, a volte mi sembra di vedermelo accanto, di cantare insieme “La Paloma” il suo canto preferito. Tutti lo chiamavano “Il Bersagliere”, ed io sin da bambino lo chiamavo così, poi con il passare del tempo “Bersaglie”, non ricordo mai di averlo chiamato “papà”, a volte ancora oggi con un certo senso di colpa, mi chiedo se ho fatto bene, ma lui era contento, era abituato e anche io, questo mi bastava. Ricordo i suoi incessanti, e sempre più ripetuti racconti di guerra, della sua vita da Bersagliere ciclista, lo ascoltavo, a volte facendo finta di ascoltare, tanto .. conoscevo la storia. …….e adesso la racconto:

Classe 1917, da un piccolo paese della provincia di Roma, partisti per il servizio militare il 31 maggio 1937, arruolato nel Corpo dei “Bersaglieri Ciclisti” con destinazione Zara (ex Jugoslavia), allora provincia Italiana dal 1923. All’epoca, nulla poteva farti presagire che quella guerra che aveva già sconvolto il mondo una manciata di decenni prima, stava nuovamente affacciandosi sullo scacchiere mondiale sconvolgendo la tua esistenza e quella di altri milioni di persone. Le tue giornate trascorrevano dure in caserma, tra le continue ed innumerevoli esercitazioni, alternate a lunghe ed estenuanti sessioni ginniche fino allo stremo delle forze. Ricordo ancora quando mi raccontavi delle tue corse mattutine con la gloriosa X° compagnia: partivate dalla caserma “La Marmora” percorrevate correndo fieri ed orgogliosi le vie della città di Zara diffondendo canti bersagliereschi. Un giorno, come tanti altri, una rosa gettata da un balcone colpi il tuo volto, ti guardasti intorno per cercare di capire da chi fosse stata lanciata ma fu impossibile. Qualche giorno dopo la tua curiosità fu soddisfatta: mentre ti esercitavi al campo sportivo nelle tue attività ginniche quotidiane, il tuo sguardo incrociò quello di una bellissima “zaratina”: fu un colpo di fulmine e subito capisti che era stata lei ad omaggiarti con la rosa qualche giorno prima; “sareste stati legati per sempre”. I giorni trascorrevano veloci, con rinnovato vigore fino a quando un bel giorno arrivò la fine del tuo periodo di leva: FINALMENTE pensasti potrò riabbracciare i miei affetti e la mia terra!. Era tutto pronto quel giorno, tutti imbarcati sulla nave che però non mollava gli ormeggi, ore e ore di attesa estenuanti ma non partiva. I vostri sguardi si incrociavano perché non riuscivate a capire il motivo di quell’attesa. A un certo punto tutti furono fatti scendere dalla nave e di corsa di nuovo in caserma. Eravate inconsapevoli che quel giorno sarebbe rimasto nella storia: 01/09/1939 scoppio della seconda guerra mondiale. Mi ripetevi “La mia classe, quella del 1917, fu la sola che non si congedò mai”. All’epoca eri ormai diventato caporal maggiore oltre che tiratore scelto e fosti subito inviato in particolari azioni militari, negli aspri e duri territori montuosi della Dalmazia, con tutto il pesante equipaggiamento in dotazione, prima fra tutti la tua bicicletta portata gloriosamente ed orgogliosamente in spalla. Ricordo in particolare un tuo racconto, che solevi spesso ripetere e che ti aveva particolarmente colpito nel profondo : durante un conflitto a fuoco al comando della tua squadra, eravate impegnati in azione utilizzando una mitragliatrice; all’improvviso la stessa si inceppò ed il bersagliere che la impugnava fu sostituito da quello che gli era affianco, era il “Bersagliere Longo Attilio”: fu un attimo, in un millesimo di secondo una pallottola perforante lo colpi in piena fronte e nonostante l’elmetto, il colpo fu letale ed il Bersagliere si accasciò abbracciando l’arma. Gli anni passavano lentamente e duramente, e come spesso mi raccontavi, furono ben sei al fronte in piena zona di guerra: e pensare che avresti dovuto finire il tuo servizio di leva soltanto nel 1939 ! Fu cosi che l’8/9/1943 fu firmato l’armistizio in Italia che di fatto ci fece schierare contro i nostri ex alleati tedeschi: questo comportò uno sbandamento generale delle truppe e tra le innumerevoli difficoltà storiche del momento ti trovasti in territorio ostile senza supporto e da solo con mezzi di fortuna decidesti di tentare il tutto per tutto e ritornare nel tuo paese : l’ITALIA. Ma al tempo stesso il tuo pensiero andava a quella “zaratina” che in quei difficili anni di guerra ti era rimasta vicino e un giorno sarebbe divenuta la tua “compagna di vita”; sapevi quello che le sarebbe potuto accadere restando li, perché lei assieme alla sua famiglia ti aveva ospitato e accolto nella propria casa, in un territorio prima amico ma ora aspramente nemico degli Italiani. Fu cosi che si aprì una delle pagine più terribili della storia moderna: ” Le Foibe”. E tu, come mi raccontavi spesso, purtroppo le vivesti molto da vicino dai racconti della “zaratina” che perse in quella tragedia parte della sua famiglia per mano dei titini. Riuscisti finalmente ad imbarcarti a Zara su una nave diretta ad Ancona: durante la partenza ti accorgesti che la “tua zaratina” era li per darti l’ultimo saluto. All’improvviso, dopo che la nave aveva lasciato il porto, la vedesti da lontano cadere in acqua per cercare di raggiungerti; questo suo gesto d’amore le costò caro perché purtroppo rimase offesa irreversibilmente ad una gamba. Tornasti finalmente in patria ancora stretta nella morsa nazista: ti rifugiasti nel tuo paese nativo, Canterano, tra i monti Simbruini cercando di sfuggire ai continui rastrellamenti tedeschi, che in un’occasione ti videro purtroppo prigioniero. Il giorno prima avevano fucilato 15 dei tuoi concittadini e tu fosti messo a tagliare delle tavole per le loro bare. Ma il tuo indomito e fiero spirito bersaglieresco ti consenti di eludere la sorveglianza armata e riuscisti a rifugiarti nei boschi salvandoti la vita. Un pomeriggio, uscito dal tuo rifugio, per concederti un momento di aria, alzasti lo sguardo e vedesti da lontano una esile ma bellissima figura femminile: era la “tua zaratina Danica” che affrontando innumerevoli difficoltà parti da Zara, percorrendo a piedi migliaia di Kilometri solo per raggiungerti! Fu una sorpresa per te inaspettata ma che al tempo stesso ti riempi il cuore di gioia. Iniziò cosi la vostra vita insieme, ma la guerra, seppur volgeva al temine ancora imperversava, soprattutto con i tedeschi, che durante la loro ritirata erano ancora  più feroci. Ricordo a tal proposito uno dei tuoi racconti, forse quello che più di tutti mi rende orgoglioso e fiero di chi “era mio padre”: a rischio della tua vita e di quella che un giorno sarebbe diventata mia madre, salvaste un gruppo di paracadutisti inglesi inseguiti dai tedeschi, dando loro rifugio e ospitalità per moltissimi giorni nella vostra dimora di fortuna. Il rischio fu grandissimo ed il tuo coraggio, perché i rastrellamenti dei tedeschi erano ancora all’ordine del giorno e sarebbe bastato un attimo per essere giustiziati. Finalmente il 01/09/1945 la guerra fini! i tedeschi ormai si diedero alla ritirata e l’Italia fu libera. Ma le tue gesta eroiche non passarono inosservate: Il Maresciallo Britannico Comandante Supremo delle forze Armate del Mediterraneo H.R. Alexander, ti conferì “un certificato al merito quale attestato di gratitudine e riconoscimento per l’aiuto dato ai membri delle Forze Armate degli Alleati che li ha messi in grado di evadere ed evitare di essere catturati dal nemico”. Questo riconoscimento in seguito, ti valse un’ulteriore importante onorificenza della Repubblica Italiana, a firma del Presidente Francesco Cossiga, quale Cavaliere al Merito della Repubblica. Dopo la tua scomparsa, sentii forte il bisogno di onorare un tuo desiderio che spesso durante il tempo trascorso assieme mi manifestavi: rintracciare i familiari del tuo Bersagliere Longo Attilio, morto in azione in quel terribile giorno tra i monti della Dalmazia. Fu cosi che iniziai con mia sorella Agnese la ricerca, che ci portò inizialmente al commilitone Mioni Rino di Padova, grazie al quale riuscimmo a rintracciare Mario Righi di Ferrara, il Bersagliere che si salvò a seguito della sfortunata morte del Bers. Longo Attilio. Fu un incontro che ci riempi di emozioni ma al tempo stesso di orgoglio e fierezza per i racconti e le conferme che i due Bersaglieri ci diedero di nostro padre:” Il Bersagliere”

Oggi scrivendo queste righe, mi rendo conto di quante altri ricordi tornano nella mia mente, di quante storie raccontate, di quanti momenti passati insieme, come vorrei tornare indietro per esprimerti la mia gratitudine, farti rivedere la tua sezione, la nostra sezione. Ricordi ? Mi dicesti “voglio riportarti insieme a tua madre a Zara” desidero farti vedere quei luoghi, e magari ritrovare i i suoi cari rimasti vivi. Io avevo diciannove anni, tu cinquantuno. Finalmente partimmo tutti e tre da Ancona, poi il porto di Zara. Ancora oggi, mi rimane impossibile descrivere le emozioni che provammo nel riveder quei luoghi, la tua caserma, ritrovare le persone care a mia madre. Poi..un giorno ripartisti, nella tua ultima corsa, lasciando in me un vuoto incolmabile, ma tanti cari ricordi ed esempi di vita e vero Bersaglierismo. E come ripetevi! Mi accompagnerà, Sempre Bersaglieri!!           

IL SILENZIO SUL MONTE MORELLO


L’ultima volta che l’ho vista, era stato in occasione del Pranzo Sociale a metà dicembre 2019. Aveva voluto essere presente come sempre a quell’appuntamento cremisi, per festeggiare in “famiglia” e
condividere quell’affetto e quell’allegria che, contraddistingue ogni singola festa bersaglieresca.
Era arrivata su una sedia a rotelle spinta da Fabio, suo compagno bersagliere e trombettista componente della nostra fanfara: la Aldo Marzi di Firenze.
Lei era socia tesserata della nostra sezione A.N.B., e parte integrante della fanfara, diventando la nostra fotografa ufficiale.
Fin dal giorno in cui Fabio diventò componente della fanfara, lei prese posizione al suo fianco.
Ad ogni manifestazione o servizio dove eravamo impegnati, Lucia era la prima a confermare la sua presenza. Chiedevo con un SMS, la presenza al servizio ad ogni mio fanfarone (amo chiamarli così). La prima risposta era sempre la sua…tanto che, mi toccava chiederle: -Ma Fabio viene?-
Lucia aveva portato fra noi, una palese dimostrazione di cosa fosse la serietà e l’allegria.
Era la prima ad applaudirci ai nostri concerti o durante le nostre corse con le piume al vento.
Per anni ha condiviso con noi le gioie e i brividi che, solo seguendo una fanfara dei Bersaglieri e vivere tra loro si possono provare.
E’ stata amata da tutti noi, nessuno escluso. Ma ecco che il destino un giorno decise che, tutto questo non andava più bene.
Lucia si ammalò e cominciò così il suo triste calvario: ricoveri, cure, un primo intervento che dette conferma della gravità del suo male. Ne seguì un’altra operazione, più invasiva, più delicata, più traumatica. E ne ebbe bisogno nel momento peggiore. In pieno lockdown a causa del Corona Virus.
Mentre Lucia era stata ricoverata e operata, Fabio seguì inerme da casa, col cuore palpitante per il continuo dolore e ansia.
Non poteva essere al fianco della sua amata.
Non gli era permesso andare a farle visita.
Niente di umanamente pensabile gli era concesso!
Fabio si inventò un modo per poter in qualche maniera, condividere anche solo pochi minuti con la sua Lucia.
Servendosi di internet, ogni sera si collegava con lei in video-chiamata e cenavano insieme; anche se uno a casa e l’altra in ospedale.
Era l’unico modo per avere un momento solo per loro.
Dopo giorni Lucia era stata dimessa e finalmente Fabio poteva starle vicino. Le cose non andarono come tutti noi speravamo, anche se lei continuava a rispondere ai nostri messaggi, dicendo che stava meglio, e aveva scritto sul profilo del suo cellulare: – VIVA LA VITA!-
Lucia si aggravò…Fabio per la prima volta dovette “rinunciare” alla fanfara.
Si piantò al capezzale della sua amata…e lì rimase giorno dopo giorno, ora dopo ora.
In quei giorni mi diceva: -La mia più grande gioia, è vederla ancora sorridere, e sentirla continuamente stringere la mia mano nella sua. Se qualcuno mi chiedesse oggi cos’è l’amore, risponderei che conosco ogni suo lato e la sua profondità.-
Così era stato fino al suo ultimo respiro.
Era il 31 luglio 2020 quando Fabio ci comunicò la triste notizia, Lucia era volata in cielo.
Era andata via nel più assoluto silenzio,..ma facendo un gran rumore nei nostri cuori.
Era apparsa tra noi bersaglieri diventando la nostra beniamina, nel pieno convivere la nostra fanfara con amore, con entusiasmo, con enfasi.
Aveva portato tra noi il suo sorriso, la sua spontaneità e la sua dolcezza.
Tutti l’abbiamo amata e continueremo a farlo.
Rimarrà sempre con noi, perché dovunque andremo la porteremo nei nostri cuori, fino a quando un giorno ci ricongiungeremo, e ci vedrà arrivare di corsa con i nostri cappelli piumati sventolanti tra
le note delle nostre trombe squillanti.
Lei sarà lì ad aspettarci con il suo eterno sorriso, pronta ad applaudirci e a urlare ancora entusiasta che, siamo la più bella fanfara…La sua fanfara!
La stessa che era presente al suo funerale a renderle onore, come conviene ad una meravigliosa sorella bersagliera.
Con un silenzio tutto per lei, eseguito tra suono e pianto, dal suo Fabio.
Lo stesso silenzio che tutte le sere puntualmente suona solo per lei, per la sua Lucia.
Ma oggi…in questo giorno di febbraio che sarebbe stato il suo compleanno, Fabio ha voluto omaggiare Lucia con un silenzio speciale che esce dalla tromba, ma nasce dal suo cuore di bersagliere!
Ed è per questo che, ha voluto recarsi sul Monte Morello: il posto più alto sul territorio fiorentino.
Per essere più vicino a Lucia.
Così che il suono della sua tromba arrivi a lei più forte.
Già vedo Lucia: affacciata con gli angeli del cielo applaudire con orgoglio il suo Fabio…dicendo loro:
-Vedete! Il mio amore è un bersagliere!-
Beppe Caselle Bersagliere Capo-fanfara di Firenze