RICORDI DI NAJA

La cartolina era, come da tradizione, posizionata a cena sotto il piatto della prima portata. Destinazione: Miano. Ebbi un sussulto di gioia. “Milano, dev’esserci un errore di stampa… dev’essere Milano”. Macché, era Miano. Maledizione! Miano esiste eccome, è un quartiere di Napoli. L’unica consolazione: CAR in una compagnia bersaglieri, come da mia richiesta al Distretto.

L’accoglienza del sergentone baffuto che mi squadrò da cima a fondo, fu scarna: “sei alto, biondo, con gli occhi azzurri… molto bene…”. Ma il sottufficiale non era gay. Soltanto aggiunse che avrei fatto molte guardie alla porta centrale, con la “schierata”. Ovvero quella che accoglie il colonnello comandante.

“All’armi…”. Il colonnello comandante è in arrivo e la guardia, dopo una notte di sonno decisamente approssimativo, si schiera in pochi secondi. Siamo dodici statue impettite, di marmo. Le cariatidi del Partenone sono, al nostro confronto, insicure, vacillanti, praticamente ubriache. Noi siamo perfetti, cravatte a posto, cappelli piumati rigorosamente sulle ventitré, che neppure un architetto avrebbe potuto riscontrare un millimetro di differenza nell’ inclinazione fra un Copricapo e l’altro. Il colonnello comandante entra nel portone a passi lenti, ascolta con noia la presentazione dell’ufficiale di picchetto e passa in rassegna la guardia. Il respiro degli schierati è sospeso. Anzi, assente. C’è totale apnea. Poi il colonnello estrae dal taschino un decimetro di plastica, e con quello inizia a misurare la distanza fra i passanti d’ottone e la fibbia del cinturone di juta. Distanza che, secondo regolamento, deve essere di quattro centimetri. A un bersagliere della guardia la distanza risulta di tre centimetri dalla fibbia e, in un’altra guardia, i passanti sono alla distanza di quasi cinque centimetri! «Peccato – esordisce il colonnello comandante – era una bella guardia. E l’avrei anche premiata ma… come ho dimostrato non era del tutto in regola. Davvero peccato!»

Primo commento: il colonnello comandante ci ha fornito un prezioso insegnamento. Perché ha indicato a tutti noi che la via per la ricerca della perfezione è quella che ci migliora, che ci eleva, quella alla quale dobbiamo tendere ogni giorno per la massima gratificazione nel nostro lavoro, nel nostro spirito, nel nostro essere uomini nei nostri affetti, nei nostri doveri di padre, di cittadino, di soldato…

Secondo commento: colonnello, sei un gran figlio di p……

Dopo due settimane di CAR, con corse fino allo sfinimento, ginnastica, salti mortali e adunate con lo spazzolino dei denti ancora in mano, si prospetta la anelata possibilità della libera uscita. Della seconda compagnia soltanto dodici “burbe” risultano in grado di poter essere ammesse all’ultimo esame per la prima libera uscita. Davanti ad un tenentino smilzo come un’acciuga, le ultime selezioni d’esame: barba fatta a prova di cotone idrofilo, capelli senza sfumatura, saluto militare perfetto, conoscenza a memoria dei superiori, dal comandante di Compagnia fino al Comandante della Regione Militare, cravatta con nodo “a goccia”, scarpe lucide e piega ai pantaloni. Risultato: si rimane in quattro. Superato il massacrante esame, il quartetto, accompagnato da un caporale, si dirige verso l’uscita ma, prima del passo di corsa, l’ufficiale di picchetto chiama l’ultimo bersagliere del gruppo:

«Bersagliere»

«Comandi signor tenente»

«Quanti anni hai?»

«venti signor… oh Cristo, ci sono cascato». La risposta doveva infatti essere 131. Ovvero gli anni dalla fondazione del Corpo. Così come la risposta a «Chi è tuo padre» doveva essere «Lamarmora» e, a chi è tua madre, non la signora Maria ma «l’Italia». E quel bersagliere si perse la libera uscita. Prima libera uscita, si badi bene, accompagnati da un caporal maggiore istruttore per una agognata pizza margherita, il cui sapore ricorderò per tutta la vita.

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Al CAR di Miano (NA), durante le libere uscite a Napoli, il terrore era quello della Ronda. La sera, circolavano tre Ronde: quella nostra, di Miano, dove si alternavano bersaglieri, carristi e cavalieri, quella di San Giorgio a Cremano, delle Trasmissioni, e quella dell’Aviazione. Si sa come funzionavano le cose: la Ronda faceva strage di nominativi la prima ora, poi si rifugiava (gratuitamente) in una sala cinema e a mezzanotte rientrava consegnando “gli scalpi” al Comando. Dunque la Ronda dell’aviazione picchiava sodo sui militari delle caserme di Miano e san Giorgio a Cremano, quella di San Giorgio su Miano e Aviazione, quella di Miano su San Giorgio e Aviazione. Insomma un tutti contro tutti fino all’ultimo sangue. Se venivi sottoposto al controllo di una Ronda amica, te la potevi cavare. Ma se incontravi la Ronda avversaria, l’ispezione non si limitava al perfetto saluto e all’atteggiamento formale, perché le richieste arrivavano fino alla visione delle calze (che non fossero fuori ordinanza, insomma non quelle in morbido filo-scozia spedite da mammà), al fazzoletto tattico, un metro quadro di rustico cotone che mancava poco ci potevi fare un paracadute, e… la carta igienica nella saccoccia dei pantaloni. Sissignori. Perché a noi soldatini era fatto d’obbligo essere in possesso di carta igienica (in questo caso non necessariamente militare, tollerata anche la “borghese”), per ogni necessità. E, quello della Ronda, è un trauma in grigioverde che rimane negli anni… Ma come vedremo, con qualche rivalsa.

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Nel giugno del 1968 mi trovavo aggregato a Treviso per un corso supplementare di trasmissioni. Il 17 giugno andai a rapporto dal comandante di Compagnia e, facendomi portavoce degli altri bersaglieri aggregati, gli chiesi il permesso di poter andare in libera uscita in alta uniforme il giorno successivo, visto che sarebbe stato l’anniversario di fondazione del Corpo di Lamarmora. Il Comandante, un fanteccino, mi ascoltò con attenzione e poi diede il suo assenso. La sera successiva, tre bersaglieri in alta uniforme, e rigorosamente al passo, circolavano impettiti per le vie di Treviso. Nessuno di questi era sottufficiale, e neppure graduato. Ma quei tre in alta uniforme e al passo marziale, fecero tanta scena che tutti i militari in libera uscita incontrati sulla medesima via si irrigidivano in un perfetto saluto militare. Ricambiato, con studiata superiorità, da me, che stavo al centro dei tre piumati. A stento ci trattenemmo dalle risate quando anche qualche sottotenentino cascò nella trappola salutando con dovizia la tremenda “Ronda”. Poi pizza e grandi “urrà” per un ridotto 18 Giugno in… casa della fanteria.

                                                                                                                                Daniele Carozzi